Marchionne qualche tempo ha detto che per sopravvivere nel mondo delle auto bisogna essere delle aziende grandi. L’esempio del settore motoristico giapponese dimostra che si può vivere bene quando si è grandi aziende.
In Giappone i piccoli produttori di automobili sconfessano giorno dopo giorno le convinzioni di Marchionne e di altri capi d’azienda che come lui ritengono di dover programmare prima l’espansione e le acquisizioni e soltanto in un secondo momento la produzione.
In Giappone le aziende di auto, anche grandi, ci sono. Basta citare Toyota, Nissan e Honda che vendono rispettivamente circa 10, 5 e 4 milioni di auto ogni anno e non hanno bisogno di mettersi in competizione con i marchi più piccoli come Suzuki, Mazda, Subaru, Daihatsu o Mitsubishi che vendono soltanto 1-2,5 milioni di unità all’anno ma sopravvivono degnamente al mercato, anche quando questo va in crisi.
Tanto per fare un esempio Mazda e Fuji Heavy Industries (quest’ultima produce di modelli Subaru) nel semestre aprile-settembre 2014, hanno avuto vendite e fatturato in crescita dimostrando che anche i piccoli possono andare oltre la crisi. Tutto il settore ha vissuto un momento molto delicato, ci sono stati due anni praticamente in perdita e soltanto nella prima metà dell’anno fiscale 2014-2015 c’è stata un’inversione di tendenza. Mazda è cresciuta allora del 41% andando al di là delle previsioni degli analisti.
Il segreto del successo, però, non è da rintracciare al di fuori dell’industria automobilistica, nelle politiche monetarie volute dal governo di Shinzo Abe, ma nell’idea dell’auto che hanno i piccoli produttori. La loro attenzione nel creare un’auto di successo, focalizzandosi su redditività ed efficienza del modello, è stata premiata a discapito di chi gioca soltanto con i volumi ma non realizza opere d’ingegneria.
Un ruolo importante è giocato anche dalle esportazioni e questo vuol dire che le auto delle piccole aziende piaccio a tutti e riescono a soddisfare le esigenze di un buon numero di automobilisti.